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Capaci, 30 anni dopo: la testimonianza del giudice Giuseppe Di Lello agli studenti della Paolucci

 

Ci sono incontri che sono destinati a lasciare il segno. E quello di ieri mattina tra gli studenti di sette classi della scuola media Paolucci di Vasto Giuseppe Di Lello, giudice istruttore del pool antimafia di Palermo, rientra senza dubbio tra questi. Nel trentennale delle stragi di mafia un gruppo di docenti dell’istituto scolastico vastese ha promosso una iniziativa per fare memoria attraverso le parole e l’esempio di chi ha vissuto in prima linea quella stagione drammatica per il Paese. Giuseppe Di Lello Finuoli è stato uno dei giudici istruttori, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a costituire il nucleo originario del pool antimafia che portò al maxi processo e all’arresto di decine di mafiosi. E, seppur attraverso un collegamento in videoconferenza, la sua testimonianza agli studenti presenti al Teatro Rossetti è arrivata chiara, coinvolgente e istruttiva.

Alla presenza del maggiore dei carabinieri Amedeo Consales, del commissario capo della polizia Rosetta Di Santo, degli assessori Nicola Della Gatta e Anna Bosco e del presidente dell’ordine degli avvocati Vittorio Melone, è stata la professoressa Luigia Primavera Ciarniello ad aprire la giornata portando i saluti della dirigente scolastica Sandra Di Gregorio, assente per motivi di salute, e ringraziare le docenti e tutti coloro che hanno reso possibile l’incontro.

«Eravamo tutti sullo stesso piano ma Falcone aveva una marcia in più»

Il giudice Di Lello si è collegato in videoconferenza dalla sua casa di Palermo e ha risposto a tutte le interessanti domande preparate dagli studenti. Ha ripercorso la storia dei primi anni di indagini sotto l’impulso di Rocco Chinnici, ucciso nel 1993, e la stagione del pool antimafia con la guida di Antonino Caponnetto. Di Lello, con grande chiarezza, ha illustrato ai giovani studenti la rivoluzione nel metodo d’indagine portata dalle intuizioni dei magistrati di quell’epoca, in particolare di Giovanni Falcone. «Eravamo tutti magistrati sullo stesso piano – ricorda l’ex giudice – Falcone aveva una marcia in più. Ha tracciato una strada, dopo Falcone non ci sono stati più alibi per la lotta alla criminalità organizzata». Gli studenti hanno chiesto a Di Lello anche ricordi del suo legame con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in anni in cui hanno condiviso ogni attimo delle loro vite blindate. «Sono stati anni difficili, abbiamo dovuto rinunciare a tutto. Ma lo abbiamo fatto per portare avanti il nostro lavoro. Nelle nostre giornate solitamente al mattino lavoravamo ognuno per conto proprio. Poi, nel pomeriggio, eravamo insieme in una stanza in cui c’era un armadio blindato. Dentro, con tutti i documenti a cui lavoravamo, c’era anche una bottiglia di whisky. A un certo punto del pomeriggio la tiravamo fuori, bevevamo un bicchierino – tranne Caponnetto e Guarnotta che erano astemi – e si andava avanti fino a notte fonda».

Di Lello ha ricordato il lavoro della magistratura e quello delle forze dell’ordine. «Polizia, carabinieri, guardia di finanza, sono stati preziosi per le nostre indagini. E, non è un caso, che tanti degli uomini che hanno lavorato in quegli anni insieme al pool poi sono arrivati, con merito, ai massimi livelli». Tra i sentimenti emersi dal racconto c’è quello della paura. Quando gli chiedono se, di fronte a quello che accadeva intorno a lui, avesse mai pensato di mollare, Di Lello ha risposto con sincerità. «Certo, è un pensiero che hai. Ma non mi sarei mai sognato di andare in ufficio e fare brutta figura dicendo: basta, io lascio. Ma poi, ricordatelo: aver paura è umano ma bisogna saperci convivere». Il suo impegno civico è poi proseguito, dopo aver lasciato la magistratura, nella politica come deputato, europarlamentare e senatore. Un nuovo percorso che ha sempre mantenuto stretti i legami con l’Abruzzo, terra delle sue origini. «Nelle mie candidature sono sempre stato eletto in Abruzzo. Ho tanti legami a Villa Santa Maria, dove sono nato e cresciuto e Lanciano, dove ho studiato».

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Altrettanto intensa e ricca di messaggi è stata la testimonianza del luogotenente Leonardo Farina, oggi comandante della stazione di Cupello, negli anni ’90 giovane carabiniere in servizio a Palermo. Farina ha raccontato ai ragazzi le intense giornate lavorative, i servizi di scorta, i momenti carichi di tensione e la rabbia di fronte alle stragi che si trasformava, giorno dopo giorno, in una costante azione di promozione e ricerca della legalità. Ha ricordato della condivisione tra tutti i giovani uomini e donne delle forze dell’ordine che, in quegli anni, erano in servizio a Palermo e del dolore per i colleghi scomparsi. Il suo racconto, stimolato dalle domande degli studenti, è un lungo messaggio di legalità e attenzione al bene comune, trasmettendo al giovane pubblico l’importanza di avere, in ogni azione della propria vita, l’attenzione ad atteggiamenti corretti e rispettosi delle leggi e degli altri.

A concludere sono le parole di Tito Viola, del presidio Libera Attilio Romanò di Chieti, che ha posto l’accento sul ricordo di tutte le persone che hanno perso la vita per mano delle mafie. «Noi, ogni anno, il 21 marzo in tante piazze italiane leggiamo tutti i nomi delle vittime innocenti delle mafie. Di tanti di loro conosciamo il modo ingiusto in cui sono morti. Ma dobbiamo avere l’attenzione e prendere l’impegno a conoscere le loro storie. Oggi ricordiamo Giovanni Falcone, nel trentennale della sua uccisione. Ma con lui dobbiamo ricordare anche Francesca Morvillo che non era solo sua moglie ma un eccellente magistrato. Dobbiamo ricordare Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, impariamo e conosciamo le loro storie».

Agli studenti, dopo un incontro intenso, un confronto con chi, su diversi piani, è stato protagonista di un pezzo di storia d’Italia, è affidato il compito di fare memoria e tramandare, perché continuino a diffondere quel messaggio di legalità e libertà per cui Falcone, Borsellino e tanti uomini e donne hanno dato la vita.